Il Colore – B.eK. studiarono il numero di nomi dedicati ai colori nelle diverse culture stabilendo che si può passare da un minimo di 2, chiaro e scuro ad un massimo di 11. Dimostrarono inoltre che man mano che si procede con la definizione di più colori lo sviluppo è omogeneo in tutte le culture, ad esempio dopo il chiaro e lo scuro si indica come colore il rosso, poi il verde e il giallo e così via fino a giungere all'arancione che è il colore definito in meno culture. La teoria dei due antropologi era che il numero di colori dipendesse dalla complessità della cultura, ma questa teoria venne criticata. Inoltre alcuni colori non vengono definiti se non associandoli al colore di un elemento naturale (es. "verde" diviene "foglia") così come accade quando noi definiamo un rosso come "ruggine". Inoltre dal rapporto fra colore e materia nascono due modi di interpretazione del colore, quali il "colore-qualità" nel quale il colore consente di qualificare la realtà, e di "colore-materia", nel quale l'artista è impegnato a creare un avvenimento nuovo.

Nella cultura orientale "i colori sono inebrianti, magnifici; ma le forme sono meschine e brutte". La cultura occidentale precristiana era invece molto attenta alla forma e all'uso, ma poverissima di colore: in greco antico e in latino le poche parole che definiscono un colore si riferiscono in realtà al suo grado di opacità, oppure sono associate a un elemento naturale. Le civiltà tendenzialmente irrazionalistiche prediligono l'uso del colore, basti pensare ai mosaici bizantini, dove il colore assume il valore di materia in sé già preziosa, mentre nel tipo di atteggiamento opposto il colore risulta subordinato al disegno e quindi alla forma. Se con gli Impressionisti si instaura un nuovo rapporto tra l'immagine e la pittura e quindi nasce l'antitesi fra il colore e l'immagine, i Puntinisti e i Divisionisti utilizzano le scoperte della scienza positivista e con Van Gogh la tensione cromatica corrisponde simbolicamente allo stato psicologico da descrivere.